mercoledì 28 ottobre 2009

I mandala, segrete "mappe" del Mondo, i tanka, e il profugo tibetano Choi

Il disegno rituale e la pittura simbolica hanno un significato profondo sia nel Buddhismo, sia nell'Induismo. Il tanka (anche tangka o t'aenghwa, a seconda delle translitterazioni) è un dipinto devozionale buddista tipico dei Tibetani nel Tibet, ma è realizzato anche in Mongolia, a Pechino ed altrove in Cina, e da non Tibetani. Si tratta di immagini votive, grandi o piccole, molto simili alle nostre, per esempio alle grandi tele o agli affreschi che dall’Alto Medioevo ai giorni nostri stanno di regola dietro gli altari o lungo le navate delle chiese cattoliche. Si vedano come esempi i t'aenghwa dell’antica tradiziione buddista nell’attuale Corea (un tempo impero cinese) inseriti nel saggio illustrato di Henrik H. Sorensen.
Il mandala è invece un grafismo simmetrico. Veramente è anche un termine simbolico associato alla cultura Veda ed in particolar modo alla raccolta di inni o libri chiamata Rig Veda. Ma "mandala" nella sua accezione più nota (lett.: cerchio, secondo alcuni) è oggi conosciuto in tutto il mondo in un altro suo significato, quello appunto del grafismo complesso, un disegno per lo più simmetrico e a pianta circolare - sulla carta mediante colori e linee, ma anche sulla sabbia - costruito elaborando e comprendendo numerosissimi grafismi minori, tra cui diverse, minute figure geometriche, come triangoli, cerchi e quadrati.
E chiunque si sia occupato di antropologia, conoscendo un poco la mentalità degli Antichi in tutte le Culture, intuisce che in origine questa rappresentazione doveva avere un valore cosmogonico, a significare la circolarità del Mondo, cioè dell’Universo, secondo le conoscenze di allora. Non per caso il mandala rappresenta per i buddhisti, il processo mediante il quale il cosmo si è formato a partire dal suo centro. Insomma, un mandala in origine, voleva essere, nientemeno, una mappa rituale e devozionale della Terra, sicuramente dai molteplici sub-significati ancora sconosciuti.
Gli astronomi moderni sono d’accordo su questa sorta di esplosione iniziale (Big Bang). Naturalmente, poi, le stratificazioni religiose hanno aggiunto al mandala simboli, allegorie e allusioni che oggi solo ultra-specialisti sono in grado di cogliere.
Anche se gli spiritualisti estremi sostengono che a nulla serve un disegno materiale, e che i veri mandala possono essere solamente mentali, le immagini fisiche servono purtuttavia per costruire il "vero mandala" interiore, che si forma nella mente.
In altre parole, il disegno stilizzato, colorato e simbolico che a noi Occidentali piace enormemente per la sua eleganza estetica, era visto in origine come una sorta di guida, di mappa, quasi - mi si perdoni l’accostamento, ma serve per far capire - un "gioco dell’oca" intellettuale e rituale che permetteva il viaggio iniziatico.
Il corrispettivo induista del mandala è lo yantra (lett. strumento). E’ simile al mandala, ma molto più schematico, limitandosi ad usare figure geometriche e lettere in sanscrito, mentre nel mandala sono rappresentati anche - in maniera talvolta particolareggiata - luoghi, figure ed oggetti.
E, a proposito,
lo stesso simbolo dell’Ayurveda riprodotto in questo blog sotto la testata, a sinistra, è in fondo un mandala.
In quanto all’Occidente "laico", anche noi siamo affascinati dalla simmetria radiale. Forse sarà per ricordi ancestrali (del Sole e della Luna?), fatto sta che gli uomini sono sempre stati attratti dalla figura rotonda, equiparata inconsciamente ad una forma perfetta anche quando viene negata dai grafici moderni, oppure inserita in un quadrato, a sua volta considerato, per altri motivi, un’altra forma perfetta.
E infatti, ancor oggi, i mandala sono molto popolari, addirittura fanno parte – dagli anni Sessanta in poi – del piccolo consumismo delle discipline "alternative". Nelle cartolerie di mezzo mondo si vendono addirittura quaderni per bambini con tante forme semplici di mandala da colorare.
E, a proposito, ci piace ricordare la mostra di Lama Dam Choi, un esule tibetano, non a caso devoto, intitolata "Thangka e Mandala", tenutasi qui al Bibliothè, purtroppo in pieno periodo estivo (dal 22 luglio al 5 agosto scorso), e quindi passata quasi inosservata.
Nato sulle montagne himalayane di Kavre nella Valle di Kathmandu, in Nepal, da genitori tibetani fuggiti dal Tibet a causa dell’invasione cinese, Choi è un monaco tibetano buddista, artista di thangka e mandala. Un suo meraviglioso
mandala colorato e fittamente istoriato lo riproduciamo qui con una immagine ingrandibile, per poterne ammirare la complessa filigrana.

IMMAGINE. Un “mandala” disegnato dal tibetano Choi. E’ più bello ingrandito: cliccarvi sopra.

1 commento:

ettore ha detto...

l'importanza della fantasia strettamente accoppiata alla curiosità per l'UNIVERSO che può condurre secondo la sensibità in regioni metasensibili.L'universo ci governa e di esso si fantastica la GRANDEZZA sconfinata ma che si riflette in Noi peril POTERE cosmico che abbiamo per generare