venerdì 2 marzo 2012

Gimnosofisti. Quei saggi o filosofi indiani, asceti e nudi, che zittirono il re Alessandro Magno.

Gimnosofista (disegno stampa) IL “VIAGGIO IN INDIA”? LO FACEVANO ANCHE 2300 ANNI FA. Ma è vero che nell’Antichità i giovani di buona famiglia romani e greci già “andavano in India”, con le medesime motivazioni e inquietudini, e spesso con gli stessi equivoci, di oggi?  E’ vero che, non solo sul piano commerciale, via Samarcanda, ma anche e soprattutto sul piano filosofico ed esistenziale, i punti di contatto tra India e Roma (e Atene) erano forse più numerosi dei contrasti?

E chi, che cosa, cercavano i giovani intellettuali in India? Cercavano le scuole dei gimnosofisti. Proprio come ai giorni nostri, i saggi indiani (ma allora erano veri e propri filosofi, non solo asceti) attiravano dall’Occidente greco-romano, per il mitico, già allora,“viaggio in India”, tanti giovani  intellettuali “alternativi” di quel tempo, che in mancanza di torpedoni gialli e crazy bus si accodavano alle carovane di retrovia che seguivano gli eserciti per poter viaggiare ben protetti, e che, se non lo erano già prima, tornavano vegetariani, cultori della filosofia indiana e magari “devoti nudisti”.

Ma chi erano questi gimnosofisti? Intanto vediamo chi erano, tra di loro, quei filosofi-asceti che rispondendo ad un indovinello-trabocchetto riuscirono ad azzittire il potente e colto Alessandro Magno e a fare proseliti perfino tra i suoi ufficiali. Per questo, occorre fare un piccolo passo indietro. Seguiamo la campagna militare del re Alessandro il Macedone in India, e fermiamoci nella città di Taxila dove incontra i filosofi locali che aveva fatto arrestare.

Naga indianoL’INDOVINELLO DELLA VITA E DELLA MORTE. “Se volete salva la vita – doveva aver detto il giovane re Alessandro – ditemi, o saggi indiani, e nel modo più arguto e curioso possibile, se sono più numerosi i vivi o i morti; se nutre animali più grossi la Terra o il mare; qual è l’animale più astuto; perché voi gimnosofisti avete incitato il re Sabba alla rivolta; se è venuto prima il giorno o la notte; in qual modo ci si può far amare in sommo grado; come un uomo può diventare Dio; se è più potente la vita o la  morte; fino a quando è bene che un uomo viva”.

Questo l’indovinello in nove domande – stando allo storico Plutarco – proposto dal giovane e arrogante condottiero (colto, però, e amante della filosofia) che stava invadendo l’India a dieci malcapitati filosofi. Insomma, o i saggi rispondevano (una domanda ciascuno) ai quesiti impossibili di Alessandro in modo brillante, tanto da stupirlo intellettualmente, oppure sarebbero morti.

La raffinata pena viene escogitata dal re Alessandro il Macedone [Alessandro Magno] proprio per punire dieci “gimnosofisti”, filosofi e asceti Hindi fatti prigionieri perché avevano istigato alla resistenza il re indiano Sabba e le popolazioni locali.  La regola del gioco intellettuale, però, è crudele: chi risponderà peggio morirà per primo, poi di seguito tutti gli altri. Ma chi deciderà sulle risposte? Il decimo gimnosofista, a cui il re macedone affida il compito più ingrato: fare da giudice, cioè dare un giudizio sulla bontà delle risposte dei nove compagni di sventura.

UNA BATTAGLIA TRA ASTUTI. Ascoltate le astute risposte dei nove colleghi (v. De Bernardi, nota 12), che s’inventa il decimo gimnosofista comandato “giudice”? Ricorrendo ad ogni artificio dialettico cerca di sventare la minaccia. Dice infatti: “Re, in verità ogni risposta è stata peggiore della precedente”. “Ma se è così – replica il non meno pronto Alessandro – l’ultimo,  quello del giudice, è il verdetto peggiore. E allora, sarai proprio tu, giudice, a dover morire per primo”. Ma il gimnosofista giudice non ci sta, e ricorrendo ad un trucco logico analogo al famoso “paradosso del mentitore” (v. qui sotto in nota*) argomenta più o meno così: “Non è possibile, o Re, perché – salvo che tu non fossi mentitore – avevi detto che sarebbe morto per primo chi avesse risposto peggio. Ma, come vedi, avendo risposto uno peggio dell’altro, nessuno di loro può essere indicato come primo”.

alessandro magnoSecondo altri, invece, il gimnosofista-giudice per salvarsi avrebbe risposto così: “Se il mio verdetto, o Re, è realmente pessimo, vorrà dire che ho ben giudicato, perciò non merito la morte. Se invece ho mal giudicato, il mio verdetto non è pessimo, e ugualmente non merito la morte”. In effetti, a pensarci bene, un verdetto “buono” o “cattivo” è quello che assolve o quello che condanna? In altre parole, sarà “buono” o “cattivo” a seconda che sia visto tale dall’imputato o dalla Legge. In questa incertezza semantica si era insinuata la furba risposta del filosofo gimnosofista.

E CON QUESTO TRUCCO EBBERO SALVA LA VITA. Alessandro, che fosse vera la prima o la seconda risposta, sarà stato certamente colpito dall’arguzia dei nove gimnosofisti e dall’accortezza del decimo. E non potendo decidere la prima delle dieci condanne, neanche le condanne successive poté ordinare. Così, non essendo in grado di far eseguire la condanna, lascia liberi i saggi gimnosofisti. Anzi, li rimanda da dove erano venuti carichi di doni, conclude P. Magnone nel saggio La risposta di un gimnosofista al quesito di Alessandro sull’origine del tempo: dottrina indiana?

MA L’OCCIDENTE AVEVA I SUOI GIMNOSOFISTI. Intanto, va premesso che già allora vigeva nel Mondo conosciuto un certo grado di “globalizzazione”, sia pure con tempi più lenti rispetto ad oggi. Come Romani e Greci avevano sentito dire dei saggi indiani, anche i gimnosofisti conoscevano – e lo dicono subito incontrando gli stranieri occidentali – i filosofi greci. E quindi sanno anche che l’Occidente ha i suoi asceti negatori della civiltà moderna e contestatori dei mores condivisi, insomma i suoi “gimnosofisti”.

L’UOMO DETTO “IL SOCRATE PAZZO”. Per esempio, Diogene di Sinope (412-323 a.C.), l’eccentrico asceta che in spregio delle comodità, del lusso, del rispetto umano, delle convenzioni dell’uomo “moderno” (già allora!) e perfino dell’igiene e della decenza, si vantava di poter vivere dentro una botte vuota, cioè il riparo più piccolo possibile, e senza alcun avere, cioè nudo, perché – diceva – l’uomo non ha bisogno d’altro. Fu soprannominato dai concittadini il “Socrate pazzo” e trattato più o meno come un barbone. Eppure, doveva essere un guru che aveva grande presa sui giovani “alternativi” e “anticonsumisti” dell’epoca, facilmente portati all’entusiasmo e molto influenzabili, come tutti i giovani di tutte le epoche. La sua filosofia era il cinismo (dal gr. κύων-κυνός = cane), così chiamata, non si sa se dagli avversari o dai discepoli, perché l’uomo in fondo, secondo il maestro, non aveva più esigenze di un cane, e poteva vivere proprio come un cane, in tutti i sensi, perfino facendo i suoi bisogni dappertutto, perfino sulle scalee d’un teatro, senza alcun riguardo alle ipocrisie e convenzioni (come la “educazione”) degli uomini. Insomma, ben altra pasta del ricco ed elegante guru arancione Osho Rajneesh!

IL COLTO ONESICRITO E I SUOI FIGLI. Un altro Diogene, lo storico Diogene Laerzio, nelle sue Vite dei filosofi, scrivendo dell’entusiasmo che il suo omonimo ma sporco filosofo sapeva creare attorno a sé, parla del curioso caso di Onesicrito di Egina, il quale mandò ad Atene un suo figlio che, preso dall'eloquenza di Diogene, non volle più allontanarsi da lui. Onesicrito mandò allora un altro figlio per convincere il fratello a tornare dal padre, ma anche questi volle rimanere. Onesicrito allora si recò personalmente ad Atene per vedere che cosa stava accadendo. E così conobbe Diogene, e ne fu così affascinato da diventare uno dei suoi discepoli più convinti e fedeli.

In realtà, gli Onesicrito dovevano essere due, ed entrambi allievi di Diogene, secondo il filosofo G. Reale. Infatti, un Onesicrito da Astipalea (375 ca.-300 a.C.), storico per la verità non sempre affidabile, consigliere e a suo dire timoniere della flotta di Alessandro Magno, ha lasciato scritto di avere accompagnato il re-condottiero in Asia. Tra la fine del marzo e il principio dell'aprile del 326 a.C., una volta giunti in India, Alessandro Magno, che conosceva l’adesione di Onesicrito al movimento di Diogene, lo inviò per competenza a un incontro con i filosofi indiani, detti dai Greci gimnosofisti [lat. Gymnosophistae, dal gr. Gumnosofisths, lett. "saggi" (sofisths) "nudi"(gumnoi)].

IL FAMOSO INCONTRO TRA GIMNOSOFISTI E MACEDONI. A due miglia dalla città di Tassila o Taxila (Taxila in greco, Taksasila in sanscrito), presso il fiume Indo, nel Gandhara, vicino all'attuale Rawalpindi, città in cui Alessandro poteva contare sull'amicizia del re locale, secondo gli storici Plutarco (Vite parallele: Alessandro) e Strabone (Commentari storici), Onesicrito si trovò davanti a una quindicina di uomini nudi, sdraiati per terra, tra cui un certo Calano (secondo fonti indiane potrebbe coincidere col noto saggio Kalyana) e un certo Mandanis (o Dandamis o Mandana), che quando apparve quel buffo visitatore straniero vestito di tutto punto, col caldo che faceva, indossando anche un cappello macedone, stivali al ginocchio e mantello, scoppiarono fragorosamente a ridere. Lo invitarono perciò a spogliarsi nudo, se voleva parlare con loro. Ma il calore del sole era tale che Onesicrito, nel timore di scottarsi, esitava a togliersi i vestiti.

Il saggio più anziano allora lo scusò, e cominciò a parlare dapprima lodando Alessandro, guerriero ma anche amante della cultura, e poi a chiedere notizie di  Socrate, Pitagora e Diogene [segno, quindi, che anche allora le idee circolavano rapidamente], uomini saggi e dabbene secondo lui, ma troppo aderenti alle convenzioni sociali [anche Diogene?] e poco attenti alla natura. Ecco, quindi, la prima differenza sostanziale: la Natura. Da questo colloquio, comunque, Onesicrito si convinse che i gimnosofisti erano molto vicini alla dottrina nota in Occidente come “cinismo”. I gimnosofisti, poi, arrivati a Tassila, pranzarono con Alessandro.

Da notare che l'incontro di Alessandro con i gimnosofisti – nota G.Giacometti – è successivo alla sconfitta del re indiano Poro (Paurava) sul fiume Idaspe (Vitasta) nell'attuale Pakistan. Secondo le fonti greche Alessandro, fino ad allora, non aveva esitato ad uccidere i filosofi indiani che, a differenza dei rispettivi sovrani, organizzavano la resistenza contro di lui [Plutarco, Vita di Alessandro]. Ma nella primavera del 326 l'incontro con i gimnosofisti fu pacifico. Esso avvenne, come già detto, nei pressi di Tassila. E ci sarebbero stati diversi scambi di battute tra Alessandro e due brahmana (bracmanes in greco), di cui uno – Calano, appunto – lascia le sue pratiche ascetiche per seguire il re macedone [Strabone, Geografia].

L’EROICA MORTE DI CALANO, IL GIMNOSOFISTA PIU’ FAMOSO. Tra di loro, il vecchio Calano, di 73 anni, spinto dal re di Tassila e  disobbedendo al maestro Mandanis, decise di unirsi alla spedizione di Alessandro per consigliarlo a non fare azioni militari avventate (Plutarco). Secondo Nearco, infatti, in India è costume che i saggi si occupino anche degli affari di stato e consiglino i re (Strabone). La sua, quindi, era una missione politico-diplomatica. Il che esclude che i gimnosofisti fossero tutti asceti lontani dal mondo e votati all’atarassia. Calano tenne durante il viaggio lezioni agli ufficiali macedoni interessati alla sua filosofia, tra cui Lisimaco. Ma a Pasargade (Persia) si ammalò per la prima volta nella sua vita, e temendo di non poter più assolvere ai suoi compiti di gimnosofista, decise di togliersi la vita, contro il consiglio dello stesso re Alessandro. Fattasi preparare una pira e fatto accendere il fuoco donò il cavallo a Lisimaco e gli altri suoi averi agli altri nuovi allievi della spedizione greca (Arriano), poi salì sul cumulo in fiamme e recitando inni agli Dei si fece bruciare vivo, senza un lamento, sotto gli occhi insieme terrorizzati e ammirati dei presenti. E mentre Calano bruciava – riferisce Nearco – le trombe suonarono, l’armata schierata dei Macedoni urlò il grido d’onore alalh, e gli elefanti, anch’essi schierati per ordine di Alessandro, barrirono.

LA “APATIA” COME INSENSIBILITA’ TRASCENDENTALE. Una morte epica che impressionò molto Pirrone e gli altri, e che fu poi tramandata nell’intero mondo greco-romano come simbolo di una απάθεια o insensibilità al dolore d’allora in poi attribuita tipicamente ai gimnosofisti (cfr. però l’ammirazione dei Romani per l’analogo gesto del quirite Muzio Cordo, detto Scevola, cioè il mancino, che senza un lamento si fece bruciare la mano destra, che aveva sbagliato nel colpire il re Porsenna) e che fu fatta propria anche dagli allievi europei dei saggi indiani, compresi Pirrone e Anassarco. Quest’ultimo, anni dopo, fatto torturare a morte dal tiranno Nicocreonte, professò anch’egli la sua απάθεια  proclamando che quello che stavano bastonando non era che il suo sacco, e che il vero Anassarco non era lì. Parole, concetti e insensibilità al dolore che gli venivano dai maestri gimnosofisti, soprattutto dal vecchio Calano (P. De Bernardi nel saggio “Pirrone e i maestri indiani”).

I GIMNOSOFISTI: LE DEFINIZIONI. Ma chi era un gimnosofista? Il nome greco è una evidente “allusione sia all’unione di sapienza e dottrina, sia all’esercizio di pratiche ascetiche che comportavano una nudità totale o parziale”. “Gli storici al seguito del re [Alessandro, in Asia] ne descrissero la vita in comunità appartate” [Enc. It. Treccani]. Seguiva, insomma, “forme di vita dedite ad ascetismo e filosofia”. E ancora: Secondo i filosofi greci e romani”, era un “asceta indiano che viveva nudo nei boschi” [A. Gabrielli, Gr. Diz. della lingua It.]. E secondo lo scrittore greco Arriano, più originale,  nonostante il loro conclamato estremo spiritualismo, erano sapienti  “che dimostravano la propria sapienza attraverso il corpo”.  Definizione, questa,  molto acuta, “naturistica”.

In Europa ne parla anche Giordano Bruno nell’introduzione del De Magia, laddove elenca i vari saggi o maghi nel mondo allora conosciuto: «Magus primo sumitur pro sapiente, cuiusmodi erant Trimegisti apud Aegyptios, Druidae apud Gallos, Gymnosophistae apud Indos, Cabalistae apud Hebraeos, Magi apud Persas (qui a Zoroastre), Sophi apud Graecos, Sapientes apud Latinos». I gimnosofisti erano considerati, insomma, dal religioso occultista Bruno, che riflette il pensiero dominante del Seicento, i più tipici saggi e maghi dell’India, l’equivalente dei filosofi in Grecia, dei druidi in Gallia, dei cabalisti in Israele, dei maghi in Persia, dei sapienti a Roma, dei trimegisti in Egitto.
Questi antichi filosofi Hindu perseguivano l’ascetismo al punto da considerare anche il cibo (cfr. Porfirio, De abstinentia et esu carnium) e i vestiti come elementi capaci di sporcare la purezza del pensiero. Dal fatto che spesso vivevano come eremiti nelle foreste, i Greci li chiamavano anche hylobioi (cfr. i Vāna-prasthās delle scritture in sanscrito). Diogene Laerzio riferisce di loro, e afferma che Pirrone di Elide, ritenuto fondatore del puro scetticismo, cadde sotto la loro influenza, e al suo ritorno a Elide si mise ad imitare i loro costumi di vita. Strabone divide i gimnosofisti in brahmani e sarmani (o shamani) [Enc. Britannica], e questi ultimi li divide ancora in aranyaka e "medici".

LA QUESTIONE DELLA CORPOREITA’ E DELLA NATURA. Perché i gimnosofisti, nella visione stereotipata e intellettualistica che ne ha dato l’Occidente prima tardo-pagano e poi cristiano, sembrano impersonare tra i saggi del Mondo quelli che più disprezzano il corpo e la Natura. E invece, paradossalmente, con questa curiosa insistenza a esporlo, a dipingerlo, a ornarlo di segni e colori rituali, a bagnarlo nelle acque del fiume sacro, proprio nel corpo, sia pure “purificato”, finiscono per annullarsi e identificarsi. E gli stessi gimnosofisti ne hanno consapevolezza, e lo fanno notare ai visitatori greci. La Natura manca, dicono, ai filosofi occidentali. Perciò “veri saggi”, perché in comunione con se stessi e l’ambiente, mentre i nostri filosofi e teologi disprezzando la Natura e cancellando il tramite con la Natura che è il corpo, mostrano di non capire né se stessi né l’ambiente: sono “saggi ignoranti”.

Ecco perché, in questo senso del recupero della corporeità e della nudità atavica, sia pure con modalità paradossali e allo scopo di esibire il disprezzo del superfluo e la povertà dei beni materiali, abbiamo citato e divulgato per la prima volta tra il largo pubblico, nel 1980, il fenomeno dei gimnosofisti, allora noto solo a pochi studiosi specializzati (N. Valerio, Guida al Nudo), sottolineando due fattori caratteristici della nudità degli Antichi: la estrema immagine della povertà, e il simbolo di una religiosità penitente e catartica (cfr. Francesco di Assisi che si spoglia dei ricchi abiti davanti a tutti, resta nudo, e cambia vita), che si ritrova non solo nei proverbiali modi di dire antichi europei, ma anche tra i pensatori (cfr. Montaigne: “Quanti devoti vanno nudi nelle strade in Asia!”).

LA NUDITA’ COME PREFERENZA DELLA NATURA PIUTTOSTO CHE DELLA LEGGE. E' vero che la nudità, così come la fermezza nell'ascetismo che tanto colpiva i macedoni si ritrovava – spiega G. Giacometti nel saggio Gli Studi giainici di L.P. Tessitori e il problema dei gimnosofisti – non solo presso i jaina, ma anche presso altre sette non bramaniche e gruppi interni all'ortodossia vedica, ma, ciò che non è stato sottolineato a sufficienza, essa sembra legarsi strettamente presso i gimnosofisti alla preferenza accordata alla FusiV, cioè alla Natura, rispetto al NomoV, alla Legge. E' per tale ragione che Mandanis, il più autorevole degli asceti, poteva riconoscere la somiglianza della propria sapienza con quella di Socrate, Diogene e Pitagora, ossia con quella espressa dalla tradizione naturalistica dei socratici, dei cinici e dei pitagorici. Ciò non impediva al saggio indiano di rimproverare loro, appunto, l'eccessivo ossequio al Nomos, difetto che egli riconosceva nella mancata adozione da parte del cinico Onesicrito della regola della nudità.

MA OGGI, IN INDIA, SOPRAVVIVONO I GIMNOSOFISTI? Curiosamente, i monaci jain Digambar in India, che ancora oggi rimangono nudi, sono stati identificati da secoli come i probabili eredi dei gimnosofisti da diversi autori. Il cinese Xuang Zang, per esempio, riferì di aver incontrato monaci jain Digambar a Taxila durante il suo viaggio in India nel VII secolo d.C. , proprio nella medesima regione del Punjab dove Alessandro aveva incontrato i gimnosofisti. Ma oggi, come luogo comune, qualunque devoto indiano appena acculturato indica negli asceti ed eremiti Sadhu e Naga Baba, nei saggi Rishi e negli Yogi, i se non i continuatori almeno gli analoghi moderni di quegli antichissimi saggi nudi. Ma i gimnosofisti, come concordano le fonti antiche, erano anche e soprattutto dei filosofi, degli intellettuali, talvolta addirittura dei consiglieri del principe, non o non solo degli eremiti, tantomeno dei reietti della società o dei “fachiri”, come pure si legge.

Insomma, i gimnosofisti erano agli occhi dei viaggiatori greci, e tali sono rimasti nei miti dell’Occidente, il non plus ultra insieme della saggezza e del buonsenso, oltreché dell’ascetismo Hindi. Dediti all’astinenza dalla carne e alla meditazione, consideravano il cibo e i vestiti come ostacoli alla purezza del pensiero, e in considerazione di ciò potrebbero avere degli eredi, sia pure molto parziali, negli attuali sadhu, naga, saggi rishi e yogi.  Anche se bisogna distinguere tra l’ascetismo e l’eremitaggio come rinuncia, l’apatia come trascendenza dei sensi, e l’intellettualismo filosofico del saggio che interviene nella società, addirittura assume incarichi di stato (cfr. la missione di Calano) e diventa perfino consigliere del principe.  Insomma, esistevano varie categorie di gimnosofisti. Una duplicità o ambiguità nota già a Strabone (v. oltre), che andrebbe chiarita e approfondita.

GLI ASCETI E GLI ATTIVISTI. Ma i gimnosofisti incontrati da Onesicrito erano o no brahmana, cioè devoti di Brahma in senso stretto? Forse no, a differenza dei primi due personaggi incontrati a Taksasila da Alessandro, indicati esplicitamente come bracmanes. Infatti – scrive Strabone – bisogna distinguere, parlando dei sapienti indiani tra attivi e contemplativi: «Nearco, a proposito dei sapienti indiani, dice che sono di due tipi. Gli uni fanno politica in quanto brahmana e si accompagnano ai re come consiglieri, gli altri osservano le cose della natura. Uno di costoro fu anche Calano. Facevano filosofia con loro anche le donne, e di tutti era propria una vita austera». “Coloro che, addirittura uomini e donne insieme (in una sorta di cenobio), osservavano la natura e, verosimilmente, ne seguivano l'esempio, piuttosto che seguire la via della legge, del costume e della politica, erano dunque – possiamo intendere – diversi dai brahmana”. Secondo Nearco, infatti, in India è d’uso che i saggi si occupino anche degli affari di stato e consiglino i re (riferisce lo storico Strabone).

INFLUENZA SU PITAGORA, GLI STOICI, GLI SCETTICI E I CINICI. I rapporti con la cultura filosofica occidentale sono quindi più stretti di quanto si possa immaginare. La cultura, le idee, hanno sempre valicato le frontiere. Tanto è vero che, nel famoso dialogo, lo stesso gimnosofista Calano, interrogato da Onesicrito sul suo ascetismo e le sue abitudini, risponde che anche il filosofo greco Pitagora prescrive pratiche analoghe, raccomandando anche di astenersi come cibo da esseri viventi. Come a dire:  non sei informato; siamo noi indiani, anzi, che ci meravigliamo della meraviglia di voi greci. Insomma, gli indiani accusano i greci di provincialismo. Con questo confermando anche una tesi degli studiosi, che cioè pitagorismo e brahmanesimo avessero ascendenze comuni. (C.Fucarino, Pitagora e il vegetarianismo).  Il che spiega la penetrazione della pratica vegetariana a Roma e ad Atene. Anche il già nominato giovane greco Pirrone di Elide, esponente della scuola scettica, al seguito di Alessandro in India per 10 anni, dal 334 al 323, ebbe secondo Diogene Laerzio contatti sicuri con gimnosofisti, brahmani e saggi indiani, e con maghi persiani, come riporta De Bernardi nel citato “Pirrone e i maestri indiani”): toiV gumnosofistaiV en India summixai kai toiV magoiV. oqen gennaiotata dokei filosofhsai. Nell’iconografia antica, fino al Seicento, esistono pitture su Pirrone, seminudo, che rifiuta i regali del re Alessandro, con l’austerità d’un gimnosofista d’Occidente.

Adamiti e Carpocratiani sterminati (piccola)I GIMNOSOFISTI SONO PIU’ RADICALI. Che i gimnosofisti indiani, nonostante la vicinanza di alcuni loro col Potere, fossero meno integrati, meno rispettosi dei gradi e delle convenzioni della società, insomma più radicali e fondamentalisti rispetto agli omologhi filosofi occidentali, è testimoniato anche dal seguente gustoso episodio. Riporta Arriano che quando la corte del re Alessandro, con Pirrone, Onesicrito e gli altri intellettuali greci, incontrarono i gimnosofisti, alcuni di loro erano stranamente intenti a calpestare in modo vistoso il terreno. Chiesti del perché, risposero: “O Re Alessandro, ogni uomo possiede tanta terra quanta quella che ognuno di noi calpesta, e tu, essendo un uomo come gli altri, faresti meglio a smorzare tanta frenesia che ti porta a vagare per queste vaste lande, lontano dalla tua casa, turbando te stesso e vessando gli altri. Insomma – conclude De Bernardi – i gimnosofisti, senza alcun timore reverenziale, redarguiscono l’arroganza del giovane condottiero macedone, secondo loro tipicamente “occidentale” (tutto è relativo), anziché adularlo e considerarlo, come egli avrebbe preteso, “figlio di Zeus”.

SAGGI E RELIGIOSI NUDI ANCHE IN EUROPA, MA SONO STERMINATI. Anche l’Europa cristiana ebbe i suoi “saggi nudi”: erano i devoti delle sette fondamentaliste ed eretiche degli adamiti (o adamiani) e carpocraziani. Gli adepti, grandi conoscitori delle Scritture, si riunivano tutti nudi, uomini e donne, per ristabilire la purezza e semplicità primigenia dell’Uomo, come Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre. Si diffusero dal 130 d.C., sembra a partire da Alessandria d’Egitto, o secondo altri nel IV sec. dC. Loro esponenti furono Epifanio di Salamina, che fu anche vescovo, e un certo Prodico. Li si diceva discepoli di Platone, e certo credevano nella metempsicosi. Puntavano alla perfezione attraverso l’unione dei sessi in una sola persona. Li si accusava, perciò, di abbandonarsi ad ogni sorta di impudicizia, etero e omosessuale. Gli Adamiti, poi, avevano le donne in comune. Per questo, Sant’Eusebio li definì “maghi e fornicatori”. (J. Lignères, La sexualité dans la Magie, Paris 1928). Un loro consistente nucleo sopravvisse nel cuore dell’Europa, dove furono sterminati nel basso Medioevo (sec XV) nel corso delle ricorrenti persecuzioni della Chiesa contro gli eretici.
E I NUDISTI MODERNI, HANNO PUNTI IN COMUNE CON I GIMNOSOFISTI? Anche i nudisti di oggi, che per curioso pudore si autodefiniscono “naturisti” (senza accorgersi della contraddizione), possono essere collegati in qualche modo con i gimnosofisti? Forse sì, ma è un legame tenue, e solo se sono davvero naturisti, cioè immersi in una vita “secondo Natura” in tutti i suoi aspetti. Anch’essi, in fondo, almeno i pochi consapevoli e colti, potrebbero proporsi come “nudi e saggi”, in quanto portatori d’una visione intellettuale e anticonformistica del vivere e del pensare fondata sulla comunione tra corpo e Natura e sulla non-violenza (cfr. N. Valerio, Guida al nudo cit.). Certo, in tutt’altro panorama, cioè in ambiente culturale laico e occidentale,  imbevuto di edonismo e naturalismo estetico-estatico. Eppure, la stessa ricerca conclamata della semplicità, l’austerità di vita (questo era all’inizio del Novecento lo spirito del movimento), la riduzione dei consumi al minimo, la contiguità con la Natura, compreso il vivere il più possibile all’aria aperta tra i quattro elementi (aria, terra, acqua, sole), e infine la coincidenza in molti nudisti moderni tra filosofia del corpo, amore per la Natura, vegetarismo e una curiosa attenzione all’Oriente (cfr. ai primi del Novecento la famosa comunità internazionale della Casa Anatta sul Monte Verità, in Svizzera,  e tuttora lo yoga nudo), sono tipici elementi del più autentico Naturismo nudista originario, che a ben vedere possono essere visti come consistenti residui culturali della tradizione greco-indiana dei gimnosofisti, che ha sparso semi fecondi dappertutto, ed è così giunta fino a noi, in Oriente e in Occidente.
NICO VALERIO

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(*) Epimenide di Creta (VI secolo a.C.), cretese, sosteneva che «i Cretesi sono bugiardi». Era dunque vera o falsa questa affermazione, sapendo che chi l’aveva detta era cretese? Essendo egli, in quanto cretese, bugiardo, la frase non era vera. E se invece Epimenide fosse stato anche l’unico cretese non bugiardo? Anche in questo caso la frase sarebbe stata falsa, poiché dimostra che non tutti i cretesi sono bugiardi.

IMMAGINI. 1. Gimnosofista (disegno). 2. Naga indiano col corpo cosparso di cenere e terra del Gange che si inebria al fumo di droghe. 3. Alessandro il Macedone. 4. Devoti sadhu in processione. 5. Lo sterminio degli adamiti in Europa nel XV secolo (stampa medievale).

AGGIORNAMENTO. Il saggio in forma più completa e aggiornata, con l’aggiunta di una ricchissima e unica bibliografia originale greca e latina, è leggibile qui.